martedì 28 luglio 2009

Armi di distrazione di massa



Questo video è tratto da Blob del 25 luglio 2009. Mi sembra un documento particolarmente illuminante, non tanto riguardo all'utilizzo del corpo femminile in televisione, nello spettacolo e in generale nella nostra società, ma piuttosto perché illustra chiaramente come, secondo una certa idea di potere che circola in Italia e non solo, deve essere trattato il videocittadino televotante.
Per chi non lo sapesse, la trasmissione Sarabanda, in onda su una rete Fininvest tutte le sere all'ora di cena, si conclude regolarmente con una showgirl che si tuffa in piscina, dopo aver salito le scale di un trampolino mentre una telecamera ne inquadra anatomicamente, con una carrellata in primissimo piano, il fondoschiena. Il montaggio utilizzato in questa puntata di Blob, che assembla i diversi spezzoni di questa ascesa quotidianamente uguale a se stessa, mostra nitidamente la volontà di titillare, tramite la televisione, il lato più conservatore delle pulsioni umane spingendo l'individuo ad appagarsi di una pura coazione a ripetere, identica a se stessa sera dopo sera come un cattivo eterno ritorno dell’uguale, sprofondandolo in un processo libidico completamente meccanico ed elementare. La strategia della televisione viene palesata così nella sua purezza, al suo grado zero, come cinismo metodico e applicato, atto a rinchiudere il teleutente in un loop perpetuo e autoreferenziale, completamente slegato dal reale. Si assiste così alla produzione di un automa fantasmatico che si consuma in un circuito chiuso immaginario, spacciato, tra una pubblicità e l'altra, come una droga di massa, usato terroristicamente come un'arma di distrazione di massa.


mercoledì 24 giugno 2009

giovedì 18 giugno 2009

Racconto filosofico animato

Piotr Kamler è un regista francese di origine polacca, nato nel 1936 a Varsavia. Laureatosi presso l'Accademia di Belle Arti di Varsavia, ha continuato i suoi studi presso le Belle Arti di Parigi nel 1959. Arrivato a Parigi, entra in contatto con il Service de la recherche de l'ORTF, condotto da Pierre Scheaffer, dove ha collaborato con musicisti come Xenakis, Bayle, Malec e dove ha diretto diversi cortometraggi di ricerca.
Da allora vive a Parigi e Varsavia, ma è in Francia che realizza i suoi film.
Dalla progettazione al prodotto finito - progettazione, riprese, montaggio - il suo è il lavoro di un solitario.

Coeur di secours (1973)
Racconto filosofico: l’amore disperato di un clown lunare per una ragazza, all’interno di un orologio fermo. Così viene definito sul sito della casa di produzione.

Le musiche sono di François Bayle, musicista d'avanguardia nato nel 1932 in Madagascar. Lui stesso definisce le tappe del suo cammino come "utopie dove si esplorano le genesi dei movimenti sonori, la grammatica della loro formazione, le loroi relazioni con gli avvenimenti del mondo fisico et psichico". I suoi riferimenti extramusicali sono Jules Verne, Paul Klee, Gaston Bachelard, René Thom.

martedì 16 giugno 2009

Baudelaire e il Carosello

Nel terzo libro dell’Eneide, Enea giunge a Butroto, una piccola città costruita sul modello di Troia. Andromaca, passata a moglie in terze nozze di Eleno, fondatore della città, viene colta da Enea mentre è accanto a un tumulo sulle sponde di un fiumiciattolo e si strazia credendo illusoriamente di trovarsi sulla tomba di Ettore in riva al Simoenta. A Baudelaire sorge lancinante nella mente questa immagine quando passeggia nei pressi della nuova piazza del Carrousel, un tempo occupata da baracche e frequentata da varia umanità, bohemienne e marginali. Nel 1853 la vecchia piazza fu rasa al suolo dal prefetto Jean-Jacques Berger su ordine dell’imperatore Luigi Napoleone III, per attuare il progetto di ammodernamento della città. L’assenza dell’antica forma di vita che abitava quei luoghi, seggerisce a Baudelaire il sentimento dell’universale dolore per la mancanza di ciò che passa, che scompare, trascinato via dall’alluvione del tempo.
Propongo una traduzione de Il cigno, la poesia, presente ne I fiori del male, in cui Baudelaire riversa queste sensazioni, preceduta da un collage di frasi tratte da La Folie Baudelaire di Roberto Calasso, sotto la cui suggestione ho reso i versi in italiano.


La Parigi di Baudelaire è caos dentro una cornice

Tutto ciò che avviene all’interno della cornice esalta gli elementi che vi sono circoscritti, li obbliga a ibridarsi in condizioni mai sperimentate. Così nasce il nuovo. Così accade che il puro mutare della “forma di una città” spalanchi una voragine nella memoria che permette di raggiungere, in un istante, la prigioniera Andromaca mentre contempla desolata una Troia ricostruita in miniatura a Butroto

la perdita, una lancinante perdita, che soltanto per chi vaga nella grande città sa diventare lancinante

Le cygne... quell’intersecarsi e collidere di piani lontani e disparati, nella memoria e nella percezione, è un qualcosa che soltanto con Baudelaire si profila in letteratura

l’Andromaca di un episodio minore dell’Eneide

ora vive in terra straniera, terra di nemici, l’Epiro

Ma ormai nessuno pensa più a Andromaca. Non però Baudelaire, mentre sta attraversando il nuovo Carrousel

Oggi, il luogo indicato da Baudelaire è una pista di scorrimento veloce per il traffico

Lì, un tempo, pullulava tutt’altra vita

Fra i due palazzi che rappresentavano il ramo primogenito e quello cadetto della sovranità regale - le Tuileries e il Palais-Royal - sorgeva un aggregato della vita più informe e caotica, un frammento di “foresta” proliferante accanto al cuore dell’ordine

Da quel ricordo improbabile sgorgano altre immagini, altri esseri di un altissimo pathos. Tutti emananti da qualcosa di “ridicolo e sublime”

Ciò che unisce queste figure... è il puro lutto per ciò che scompare

Qualunque sia il luogo, qualunque sia la condizione, c’è sempre un altro luogo, c’è sempre un’altra condizione che sono perduti per sempre. Nessuna infelicità può misurarsi con questa, che è la pura constatazione di un’assenza

Qualcosa che ugualmente appartiene, distribuito con equanime magnanimità, a chiunque viva nel tempo



Il cigno, da I fiori del male di Charles Baudelaire

I

Andromaca, ti penso! Questo piccolo fiume,
povero e triste specchio dove splendette un tempo
l’immensa maestà dei tuoi dolori di vedova,
questo falso Simoenta alimentato dalle tue lacrime,

d’improvviso fecondò la mia memoria fertile,
mentre attraversavo il nuovo Carosello.
La vecchia Parigi non c’è più (la forma di una città
cambia più veloce, ahimè, del cuore di un uomo);

Ora vedo solo nell’animo mio gli accampamenti di baracche,
i cumuli di capitelli sbozzati e di scapi,
l’erba, i grossi blocchi inverditi dalle pozzanghere,
e, brillante di vetri, il ciarpame caotico.

Là si spiegava uno sbarramento,
là vidi, un mattino, all’ora in cui sotto il cielo
freddo e chiaro si sveglia il Lavoro, in cui dalla strada
sorge un oscuro uragano nell’aria silenziosa,

un cigno ch’era scappato dalla gabbia,
e, sfregando il selciato arido coi piedi palmati,
trascinava sul suolo accidentato le bianche piume.
L’animale a un arido rivolo aprendo il becco

bagnava nervoso le ali nella polvere,
e diceva, col cuore pieno del bel lago natìo,
“Acqua, e quando scenderai? Quando tornerai fulmine?”

Vedo questo infelice, mito strano e fatale,

verso il cielo talvolta, come l’uomo di Ovidio,
verso il cielo ironico e crudelmente blu,
tendere sul collo convulso la testa avida,
come indirizzasse rimproveri a Dio.

II

Parigi cambia! Ma niente nella mia melancolia
si è mosso! palazzi nuovi, ponteggi, blocchi,
vecchi sobborghi, tutto per me diventa allegoria.
E i miei cari ricordi sono più pesanti di macigni.

Allora davanti al Louvre una immagine mi opprime,
penso al mio grande cigno, con i suoi gesti pazzi,
come gli esuli, ridicolo e sublime,
e roso da un desiderio senza requie! e poi a te,

Andromaca, cascata dalle braccia di un grande sposo,
bestia abietta, nelle mani dell’orgoglioso Pirro,
curva in estasi su una tomba vuota;
vedova di Ettore, ahimè!, e moglie di Eleno!

Penso alla negra, smagrita e tisica,
che avanza piano nel fango, cercando, lo sguardo sgomento,
le palme di cocco assenti della superba Africa,
dietro le immense mura di nebbia;

a chiunque ha perduto ciò che non si ritrova.
Mai più! Mai più! a quelli che s’abbeverano di lacrime
e poppano il Dolore come fosse una buona lupa!
Ai magri orfani che s’appassiscono come fiori!

Allora, nella foresta dove il mio spirito s’esilia
un antico Ricordo eccheggia a suon di tromba!
Penso ai marinai dimenticati su un’isola,
ai prigionieri, ai vinti!... a tanti altri ancora!

link al pdf del post

domenica 14 giugno 2009

L'audacia della retorica

Slavoj Zizek (www.inthesetimes.com, 2 settembre 2008)

Nel mese di gennaio, quando gli Stati Uniti hanno ricordato la tragica morte del Rev. Martin Luther King Jr., Henry Louis Taylor Jr., un professore di storia urbana presso l'Università di Buffalo, ha osservato amaramente: "Tutto ciò che sappiamo è che questo ragazzo ha avuto un sogno. Non sappiamo quale fosse questo sogno.”

Taylor si stava riferendo a una cancellazione della memoria storica dopo la marcia di King su Washington nel 1963, in seguito alla quale venne acclamato come “il leader morale della nostra nazione".

Negli anni precedenti la sua morte, King spostò la sua attenzione su militarismo e povertà, perché riteneva che affrontare tali questioni - e non solo la fraternità razziale - fosse fondamentale per raggiungere l’uguaglianza reale. E ha pagato il prezzo di tale cambiamento, diventando sempre più un pariah.

Il pericolo per il Sen. Barack Obama è che lui sta già facendo a se stesso ciò che solo più tardi ha fatto la censura storica a King: sta ripulendo il suo programma dagli argomenti controversi, al fine di garantire la sua eleggibilità.

In un famoso dialogo presente in Brian di Nazareth, la parodia religiosa dei Monty Python ambientata in Palestina al tempo di Cristo, il leader di una organizzazione di resistenza rivoluzionaria ebraica sostiene con fervore che i Romani hanno portato solo miseria per gli ebrei. Quando i suoi seguaci osservano che, a ben guardare, hanno introdotto l'istruzione, costruito strade, predisposto l’irrigazione ecc, il leader trionfalmente conclude: " Va bene, ma a parte fognature, vino, medicina, istruzione, asini pubblici in orario, ordine pubblico, irrigazione, strade, spiagge libere non inquinate, bilancia dei pagamenti in attivo... che cosa hanno fatto i Romani per noi? "

Le ultime dichiarazioni di Obama non seguono forse la stessa linea? "Io sono per una rottura radicale nei confronti dell'amministrazione Bush!" Oppure: "OK, certo, mi impegno a sostenere incondizionatamente Israele, a mantenere l’embargo verso Cuba, a concedere l’immunità alle società di telecomunicazioni fuorilegge, ma resto ancora per una rottura radicale con l'amministrazione Bush! "

Quando Obama parla di "audacia della speranza", di "un cambiamento in cui è possibile credere", sta usando una retorica del cambiamento che manca di contenuto specifico: per la speranza di cosa? Per cambiare cosa?

Si potrebbe non incolpare Obama per la sua ipocrisia. Data la complessità della situazione degli Stati Uniti nel mondo di oggi, fino a che punto un nuovo presidente può spingersi a imporre un effettivo cambiamento, senza provocare una catastrofe economica o un violento contraccolpo politico?

Una tale posizione pessimistica, tuttavia, non porta da nessuna parte. La nostra situazione globale non è solo una dura realtà, è anche definita da contorni ideologici. In altre parole, è definita da ciò che è dicibile e indicibile, o da ciò che è visibile e invisibile.

Più di dieci anni fa, quando il quotidiano israeliano "Ha'aretz" ha chiesto all’allora leader del partito laburista Ehud Barak che cosa avrebbe fatto se fosse stato un palestinese, Barak ha risposto: "Avrei aderito a una organizzazione terroristica".

Tale dichiarazione non riguarda proprio per nulla l’appoggio al terrorismo e riguarda del tutto l'apertura di uno spazio per un vero dialogo con i palestinesi.

La stessa cosa si è verificata quando il presidente sovietico Mikhail Gorbachev ha lanciato le parole d’ordine della glasnost (trasparenza) e della perestrojka (riforma). E non importa se Gorbaciov le "perseguisse veramente”. Le parole stesse hanno innescato una valanga che ha cambiato il mondo.

O ancora, oggi, quelli che si oppongono alla tortura, la legittimano accettandola come un argomento degno di pubblico dibattito - un’immensa regressione ai processi di Norimberga dopo la seconda guerra mondiale e la successiva Convenzione di Ginevra.

Le parole non sono mai "solo parole". Le parole contano perché definiscono i contorni di ciò che possiamo fare.

A questo proposito, Obama ha già dimostrato una straordinaria capacità di modificare i limiti di ciò che si può dire pubblicamente. Il suo più grande successo fino a oggi sta nell'aver introdotto nel discorso pubblico argomenti che una volta erano indicibili: la persistente importanza della competizione in politica, il ruolo positivo degli atei nella vita pubblica, la necessità di parlare con i "nemici" come l'Iran.

E questo è un grande risultato, che cambia le coordinate dell’intero settore. Anche l'amministrazione Bush, dopo aver criticato Obama per la sua proposta, ora si è messa a parlare direttamente con l'Iran.

Se la politica degli Stati Uniti consiste nel rompere l'attuale stallo, ha bisogno di nuove parole che cambieranno il nostro modo di pensare e di agire.

Anche valutato dal basso livello della saggezza convenzionale, il vecchio adagio "Non basta parlare, fa’ qualcosa!", risulta una delle cose più stupide che si possano dire.

Ultimamente abbiamo fatto parecchio - intervenendo in paesi stranieri e distruggendo l'ambiente.

Forse, è il momento di fare un passo indietro, di pensare e di dire la cosa giusta.

(traduzione mia)

link al pdf del post