domenica 14 giugno 2009

L'audacia della retorica

Slavoj Zizek (www.inthesetimes.com, 2 settembre 2008)

Nel mese di gennaio, quando gli Stati Uniti hanno ricordato la tragica morte del Rev. Martin Luther King Jr., Henry Louis Taylor Jr., un professore di storia urbana presso l'Università di Buffalo, ha osservato amaramente: "Tutto ciò che sappiamo è che questo ragazzo ha avuto un sogno. Non sappiamo quale fosse questo sogno.”

Taylor si stava riferendo a una cancellazione della memoria storica dopo la marcia di King su Washington nel 1963, in seguito alla quale venne acclamato come “il leader morale della nostra nazione".

Negli anni precedenti la sua morte, King spostò la sua attenzione su militarismo e povertà, perché riteneva che affrontare tali questioni - e non solo la fraternità razziale - fosse fondamentale per raggiungere l’uguaglianza reale. E ha pagato il prezzo di tale cambiamento, diventando sempre più un pariah.

Il pericolo per il Sen. Barack Obama è che lui sta già facendo a se stesso ciò che solo più tardi ha fatto la censura storica a King: sta ripulendo il suo programma dagli argomenti controversi, al fine di garantire la sua eleggibilità.

In un famoso dialogo presente in Brian di Nazareth, la parodia religiosa dei Monty Python ambientata in Palestina al tempo di Cristo, il leader di una organizzazione di resistenza rivoluzionaria ebraica sostiene con fervore che i Romani hanno portato solo miseria per gli ebrei. Quando i suoi seguaci osservano che, a ben guardare, hanno introdotto l'istruzione, costruito strade, predisposto l’irrigazione ecc, il leader trionfalmente conclude: " Va bene, ma a parte fognature, vino, medicina, istruzione, asini pubblici in orario, ordine pubblico, irrigazione, strade, spiagge libere non inquinate, bilancia dei pagamenti in attivo... che cosa hanno fatto i Romani per noi? "

Le ultime dichiarazioni di Obama non seguono forse la stessa linea? "Io sono per una rottura radicale nei confronti dell'amministrazione Bush!" Oppure: "OK, certo, mi impegno a sostenere incondizionatamente Israele, a mantenere l’embargo verso Cuba, a concedere l’immunità alle società di telecomunicazioni fuorilegge, ma resto ancora per una rottura radicale con l'amministrazione Bush! "

Quando Obama parla di "audacia della speranza", di "un cambiamento in cui è possibile credere", sta usando una retorica del cambiamento che manca di contenuto specifico: per la speranza di cosa? Per cambiare cosa?

Si potrebbe non incolpare Obama per la sua ipocrisia. Data la complessità della situazione degli Stati Uniti nel mondo di oggi, fino a che punto un nuovo presidente può spingersi a imporre un effettivo cambiamento, senza provocare una catastrofe economica o un violento contraccolpo politico?

Una tale posizione pessimistica, tuttavia, non porta da nessuna parte. La nostra situazione globale non è solo una dura realtà, è anche definita da contorni ideologici. In altre parole, è definita da ciò che è dicibile e indicibile, o da ciò che è visibile e invisibile.

Più di dieci anni fa, quando il quotidiano israeliano "Ha'aretz" ha chiesto all’allora leader del partito laburista Ehud Barak che cosa avrebbe fatto se fosse stato un palestinese, Barak ha risposto: "Avrei aderito a una organizzazione terroristica".

Tale dichiarazione non riguarda proprio per nulla l’appoggio al terrorismo e riguarda del tutto l'apertura di uno spazio per un vero dialogo con i palestinesi.

La stessa cosa si è verificata quando il presidente sovietico Mikhail Gorbachev ha lanciato le parole d’ordine della glasnost (trasparenza) e della perestrojka (riforma). E non importa se Gorbaciov le "perseguisse veramente”. Le parole stesse hanno innescato una valanga che ha cambiato il mondo.

O ancora, oggi, quelli che si oppongono alla tortura, la legittimano accettandola come un argomento degno di pubblico dibattito - un’immensa regressione ai processi di Norimberga dopo la seconda guerra mondiale e la successiva Convenzione di Ginevra.

Le parole non sono mai "solo parole". Le parole contano perché definiscono i contorni di ciò che possiamo fare.

A questo proposito, Obama ha già dimostrato una straordinaria capacità di modificare i limiti di ciò che si può dire pubblicamente. Il suo più grande successo fino a oggi sta nell'aver introdotto nel discorso pubblico argomenti che una volta erano indicibili: la persistente importanza della competizione in politica, il ruolo positivo degli atei nella vita pubblica, la necessità di parlare con i "nemici" come l'Iran.

E questo è un grande risultato, che cambia le coordinate dell’intero settore. Anche l'amministrazione Bush, dopo aver criticato Obama per la sua proposta, ora si è messa a parlare direttamente con l'Iran.

Se la politica degli Stati Uniti consiste nel rompere l'attuale stallo, ha bisogno di nuove parole che cambieranno il nostro modo di pensare e di agire.

Anche valutato dal basso livello della saggezza convenzionale, il vecchio adagio "Non basta parlare, fa’ qualcosa!", risulta una delle cose più stupide che si possano dire.

Ultimamente abbiamo fatto parecchio - intervenendo in paesi stranieri e distruggendo l'ambiente.

Forse, è il momento di fare un passo indietro, di pensare e di dire la cosa giusta.

(traduzione mia)

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