martedì 16 giugno 2009

Baudelaire e il Carosello

Nel terzo libro dell’Eneide, Enea giunge a Butroto, una piccola città costruita sul modello di Troia. Andromaca, passata a moglie in terze nozze di Eleno, fondatore della città, viene colta da Enea mentre è accanto a un tumulo sulle sponde di un fiumiciattolo e si strazia credendo illusoriamente di trovarsi sulla tomba di Ettore in riva al Simoenta. A Baudelaire sorge lancinante nella mente questa immagine quando passeggia nei pressi della nuova piazza del Carrousel, un tempo occupata da baracche e frequentata da varia umanità, bohemienne e marginali. Nel 1853 la vecchia piazza fu rasa al suolo dal prefetto Jean-Jacques Berger su ordine dell’imperatore Luigi Napoleone III, per attuare il progetto di ammodernamento della città. L’assenza dell’antica forma di vita che abitava quei luoghi, seggerisce a Baudelaire il sentimento dell’universale dolore per la mancanza di ciò che passa, che scompare, trascinato via dall’alluvione del tempo.
Propongo una traduzione de Il cigno, la poesia, presente ne I fiori del male, in cui Baudelaire riversa queste sensazioni, preceduta da un collage di frasi tratte da La Folie Baudelaire di Roberto Calasso, sotto la cui suggestione ho reso i versi in italiano.


La Parigi di Baudelaire è caos dentro una cornice

Tutto ciò che avviene all’interno della cornice esalta gli elementi che vi sono circoscritti, li obbliga a ibridarsi in condizioni mai sperimentate. Così nasce il nuovo. Così accade che il puro mutare della “forma di una città” spalanchi una voragine nella memoria che permette di raggiungere, in un istante, la prigioniera Andromaca mentre contempla desolata una Troia ricostruita in miniatura a Butroto

la perdita, una lancinante perdita, che soltanto per chi vaga nella grande città sa diventare lancinante

Le cygne... quell’intersecarsi e collidere di piani lontani e disparati, nella memoria e nella percezione, è un qualcosa che soltanto con Baudelaire si profila in letteratura

l’Andromaca di un episodio minore dell’Eneide

ora vive in terra straniera, terra di nemici, l’Epiro

Ma ormai nessuno pensa più a Andromaca. Non però Baudelaire, mentre sta attraversando il nuovo Carrousel

Oggi, il luogo indicato da Baudelaire è una pista di scorrimento veloce per il traffico

Lì, un tempo, pullulava tutt’altra vita

Fra i due palazzi che rappresentavano il ramo primogenito e quello cadetto della sovranità regale - le Tuileries e il Palais-Royal - sorgeva un aggregato della vita più informe e caotica, un frammento di “foresta” proliferante accanto al cuore dell’ordine

Da quel ricordo improbabile sgorgano altre immagini, altri esseri di un altissimo pathos. Tutti emananti da qualcosa di “ridicolo e sublime”

Ciò che unisce queste figure... è il puro lutto per ciò che scompare

Qualunque sia il luogo, qualunque sia la condizione, c’è sempre un altro luogo, c’è sempre un’altra condizione che sono perduti per sempre. Nessuna infelicità può misurarsi con questa, che è la pura constatazione di un’assenza

Qualcosa che ugualmente appartiene, distribuito con equanime magnanimità, a chiunque viva nel tempo



Il cigno, da I fiori del male di Charles Baudelaire

I

Andromaca, ti penso! Questo piccolo fiume,
povero e triste specchio dove splendette un tempo
l’immensa maestà dei tuoi dolori di vedova,
questo falso Simoenta alimentato dalle tue lacrime,

d’improvviso fecondò la mia memoria fertile,
mentre attraversavo il nuovo Carosello.
La vecchia Parigi non c’è più (la forma di una città
cambia più veloce, ahimè, del cuore di un uomo);

Ora vedo solo nell’animo mio gli accampamenti di baracche,
i cumuli di capitelli sbozzati e di scapi,
l’erba, i grossi blocchi inverditi dalle pozzanghere,
e, brillante di vetri, il ciarpame caotico.

Là si spiegava uno sbarramento,
là vidi, un mattino, all’ora in cui sotto il cielo
freddo e chiaro si sveglia il Lavoro, in cui dalla strada
sorge un oscuro uragano nell’aria silenziosa,

un cigno ch’era scappato dalla gabbia,
e, sfregando il selciato arido coi piedi palmati,
trascinava sul suolo accidentato le bianche piume.
L’animale a un arido rivolo aprendo il becco

bagnava nervoso le ali nella polvere,
e diceva, col cuore pieno del bel lago natìo,
“Acqua, e quando scenderai? Quando tornerai fulmine?”

Vedo questo infelice, mito strano e fatale,

verso il cielo talvolta, come l’uomo di Ovidio,
verso il cielo ironico e crudelmente blu,
tendere sul collo convulso la testa avida,
come indirizzasse rimproveri a Dio.

II

Parigi cambia! Ma niente nella mia melancolia
si è mosso! palazzi nuovi, ponteggi, blocchi,
vecchi sobborghi, tutto per me diventa allegoria.
E i miei cari ricordi sono più pesanti di macigni.

Allora davanti al Louvre una immagine mi opprime,
penso al mio grande cigno, con i suoi gesti pazzi,
come gli esuli, ridicolo e sublime,
e roso da un desiderio senza requie! e poi a te,

Andromaca, cascata dalle braccia di un grande sposo,
bestia abietta, nelle mani dell’orgoglioso Pirro,
curva in estasi su una tomba vuota;
vedova di Ettore, ahimè!, e moglie di Eleno!

Penso alla negra, smagrita e tisica,
che avanza piano nel fango, cercando, lo sguardo sgomento,
le palme di cocco assenti della superba Africa,
dietro le immense mura di nebbia;

a chiunque ha perduto ciò che non si ritrova.
Mai più! Mai più! a quelli che s’abbeverano di lacrime
e poppano il Dolore come fosse una buona lupa!
Ai magri orfani che s’appassiscono come fiori!

Allora, nella foresta dove il mio spirito s’esilia
un antico Ricordo eccheggia a suon di tromba!
Penso ai marinai dimenticati su un’isola,
ai prigionieri, ai vinti!... a tanti altri ancora!

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